venerdì 30 marzo 2007

Tudo è Capoeira

Genere: Documentario
Durata: 41 minuti
Produzione: Italia 2006 colore
Suono: Stereo
Formato di ripresa: DvCam

Sinossi: La Capoeira, fuori dai suoi confini brasiliani, è un misto di business e di moda etnica, eppure possiede una storia centenaria fatta di sofferenze e umiliazioni. Con questo documentario abbiamo provato a tracciare un profilo sulla diffusione della Capoeira in Italia e sulla sua evoluzione nell’epoca della globalizzazione.

Regia: Francesco Del Grosso & Lorenzo Leone
Aiuto regia: Cecilia Caffari
Fotografia: Gianpaolo Bucci
Riprese: Lorenzo Leone e Vincenzo Sangiorgio
Suono: Francesco Del Grosso
Montaggio: Claudio Pisano
Supervisione al montaggio: Emanuele Pisasale
Effetti visivi di post produzione: Salvatore Allocca
Mixage: Francesco Del Grosso
Edizioni: Valeria Zarfati e Serena Pernazzoli
Fotografia di scena: Valeria Zarfati
Traduzioni: Cecilia Caffari
Musiche: AA.VV.
Produzione: Durango 95 & Dipartimento Comunicazione e Spettacolo Università degli
Studi di Roma Tre
Distribuzione: Durango 95
Patrocinio: Ambasciata del Brasile
Post produzione: Laboratorio audiovisivi del Dipartimento Comunicazione e Spettacolo
Università degli Studi di Roma Tre

FESTIVAL E RASSEGNE:
2007
* Tam Tam DigiFest (Napoli)
2006
* Dams Film Festival (Roma)
* Il coreografo elettronico – Festival Internazionale di videodanza (Napoli)
* Roma Edge Festival (Roma)
* Il corto.it (Roma)
* Enzimi (Roma)

PREMI:
* Premio del Pubblico Musicfeel al Dams Film Festival 2006

FOTO DI SCENA:








DICHIARAZIONE DEI REGISTI:

La Capoeira nasce dall’incontro tra culture ed etnie diverse e ha origine da un mix di linguaggi espressivi. Insomma, arte marziale sì, ma anche espressione corporea e quindi danza, a ritmo di musica e accompagnata da canti. Unione di discipline diverse in un'unica arte, che nel “gioco” della Capoeira vede lo svilupparsi di qualità fisiche come agilità, destrezza, coordinazione, flessibilità ecc.; il capoeirista cresce in creatività, dando primaria importanza al rispetto e all'amicizia, giocando dentro le regole per far crescere le capacità e non solo testarle. Porta così allo svilupparsi in modo completo dei tre canali di apprendimento dell'essere umano: psico-motorio, affettivo-sociale e cognitivo. L’obiettivo della camera è rivolto verso il gesto capoeiristico, così elegante nelle movenze, ma allo stesso tempo potenzialmente violento e persino letale. Inoltre, la Capoeira è anche ricerca interiore. Infatti non è solo un esercizio per mantenersi in forma, ma può anche essere praticata come terapia per rompere blocchi psicologici: una specie di “medicina” per la mente. Dunque Tudo è Capoeira può rivelarsi importante proprio per questa multi-lettura, dato che concentra l’attenzione su diversi livelli e chiavi di interpretazione.
IL DOCUMENTARIO (MATERIALI VARI):
DOVE E COME NASCE LA CAPOEIRA
La Capoeira è un’arte marziale nata attorno al 1600, a seguito della deportazione degli schiavi africani in Brasile, come forma di riscatto degli schiavi dalla loro condizione. Tuttavia, sulle origini della Capoeira esiste ancora una discussione aperta tra diverse correnti di pensiero. Questo dipende dal fatto che, più in generale, non si hanno informazioni storiche precise sulla schiavitù. La maggior parte della documentazione a riguardo, infatti, fu debitamente distrutta da personaggi come il Ministro delle Finanze Ruy Barbosa (per citarne uno) che nel 1890, sotto il Governo di Deodoro da Fonseca, ordinò la distruzione di tutto ciò che avesse a che fare con la "schiavitù negra in Brasile". Ciò che, comunque, appare certo è che la storia della Capoeira sia legata alla storia della schiavitù in America e, dunque, all'Africa, agli africani ed al bagaglio culturale che con loro sbarcò in Brasile. Recenti studi sulle manifestazioni culturali delle società rurali angolane, nello specifico della regione del Quilengues (Hurla - altopiano situato nel sud-est dell'Angola), hanno evidenziato un particolare interesse degli uomini all'arte dell'acrobazia e hanno scoperto la presenza di alcune danze acrobatiche, (tra cui una chiamata "Omudinho"), con caratteristiche coreografiche molto simili alla Capoeira. Nel XVII sec., a partire dal 1617, il Quilengues divenne dipendente dalla Capitaneria del Bengala, a sua volta legata al Portogallo, e rappresentò uno dei territori in cui fu catturato il maggior numero di schiavi destinati al Brasile, ed in particolare, alla regione dello stato di Bahia, area in cui maggiormente si sviluppò la Capoeira. Questo, non solo significa che la Capoeira potrebbe essersi ispirata anche alle danze acrobatiche del Quilengues, ma soprattutto, che sono certamente in Africa le sue radici. Gli schiavi, comunque, furono catturati in molte parti del sud-ovest africano e provenivano da terre in cui convivevano, e convivono tuttora, moltissime diversificazioni culturali. Per tale ragione, in Brasile, arrivò una moltitudine di persone, in rappresentanza di altrettante culture, che avevano in comune la caratteristica di non essere conservate nei libri o nei musei, ma nel corpo, nella mente, nel cuore e nella coscienza di ogni schiavo. Una volta giunti in terra brasiliana gli schiavi venivano venduti ai "fazenderos" solo in base alle esigenze di questi ultimi e non certo secondo l'appartenenza ad un gruppo o alla provenienza. In ogni "fazenda", dunque, si ritrovarono schiavi che arrivavano da luoghi molto diversi tra loro, con usi, costumi e tradizioni peculiari. Ciò che accadde fu che l'incontro tra le tante diversificazioni culturali, nella nuova realtà, ne determinò l'evoluzione.
La Capoeira, come altre forme di espressione culturale brasiliana, può, perciò, essere considerata come una miscela di danze, lotte, giochi e movimenti di varie culture che, in Brasile, si sono "fuse" tra loro, nei luoghi in cui i rappresentanti di tali culture - gli schiavi - erano costretti a vivere. Appare chiaro come, per comprendere questa evoluzione, sia necessario porre l'accento sulla figura dello schiavo, quale protagonista assoluto di ogni osservazione, sulla sua vita e sul suo mondo sociale, con l'obiettivo principale di evidenziare il lato "attivo", dello schiavo che vive, si muove, crea, inventa, sogna e cerca la libertà. Una visione, questa, che si contrappone, e smentisce, la tesi di chi ha sempre pensato lo schiavo come un essere, oltre che inferiore, passivo ed incapace di qualsivoglia espressione, "naturalmente" predisposto alla schiavitù fisica e mentale. Ma nessun popolo vive eternamente sotto il giogo della schiavitù senza ribellarsi e per i neri in Brasile non fu diverso. Inizialmente le reazioni contro le disumane condizioni in cui erano costretti a vivere erano frequenti, ma individuali, rivoluzioni disorganizzate che cominciarono ad avere esiti positivi e a diventare pericolose solo quando gli schiavi capirono che era necessaria l'organizzazione della resistenza e delle fughe. Capirono anche di aver bisogno di trovare, una volta fuori dalla "fazenda", rifugi sicuri, lontani e difficilmente raggiungibili, ma soprattutto capirono che per fuggire dovevano lottare. Avevano con sé solo "se stessi" e la volontà ferrea di riconquistare la libertà. E questo bastò per creare la Capoeira. Dall'Africa portavano il ricordo di danze, lotte e giochi di cui riadattarono i movimenti, arricchiti successivamente dall'osservazione del comportamento di alcuni animali, in particolare i felini (che attaccano e si difendono con spettacolare destrezza) dai quali ripresero alcuni gesti e, infine, dalla fusione di questi elementi crearono la lotta di cui avevano bisogno per combattere, fuggire e non essere poi catturati. La notte, dopo il lavoro massacrante nei campi, gli schiavi si riunivano in precisi spazi segreti, nascosti nella selva (o mato) e protetti da una particolare vegetazione tipica dei climi secchi e caratterizzata da alberi e piante contorte chiamate "capoeiras", da cui si presume derivi il nome della lotta. Fu durante questi incontri che la Capoeira nacque, si sviluppò e con il tempo divenne una vera e propria arma, pericolosa e, soprattutto, efficace. Il pericolo capoeirista si era dunque insinuato all’interno delle “fazende”. Quando i Signori cominciarono a consentire agli schiavi di riunirsi per riprodurre alcune loro forme culturali ( si era constatato che lo schiavo "contento" produceva di più e non creava problemi), la Capoeira assunse i toni di una danza per potersi camuffare e sfruttare l'occasione per essere esercitata. Alla Capoeira si aggiunsero così i canti e la musica, che ne divennero presto parte integrante ed indispensabile. In questo modo i padroni e le forze dell'ordine, in una “roda” (capoeiristi disposti in cerchio all’interno del quale avvengono le lotte) di Capoeira, vedevano semplicemente una sorta di danza e non avevano la minima idea che quegli stessi movimenti potessero diventare colpi mortali (i colpi, infatti, erano studiati in modo tale da arrecare il maggior danno possibile: lo schiavo doveva colpire e fuggire rapidamente).
Con il passare del tempo, però, gli schiavi presero sempre più coscienza della loro forza e la possibilità di fuggire per guadagnare la tanto amata libertà diventava ogni giorno più reale. Erano sempre più numerosi gli schiavi che riuscivano a fuggire, che cominciavano ad insorgere, ad unirsi in gruppi e ad utilizzare la Capoeira per combattere e lottare contro i "capitaes do mato" (gli uomini incaricati dal padrone di catturare gli schiavi fuggitivi). Iniziarono, così, le prime reazioni e gli schiavi non solo si ribellarono in modi violenti, ma anche attraverso una resistenza quotidiana, molto importante perché capace di alimentare quel comune e condiviso desiderio di libertà che divenne la vera forza della resistenza. Una volta fuori dalle "fazende" fuggivano verso l'interno, dove la vegetazione diventava fitta e buia, vi si inoltravano e sceglievano un luogo in cui l'acqua fosse buona e la terra generosa e, soprattutto che fosse ben nascosto; qui fondavano i Quilombos, vere e proprie società formate solitamente da 80 - 100 persone e perfettamente organizzate che rappresentarono una struttura alternativa alla società coloniale. Tuttavia non si deve pensare che solo i negri africani abitassero nei cosiddetti Quilombos (nome dato successivamente a questo tipo di comunità); infatti anche gli indios e persino alcuni europei che non erano d'accordo con le scelte politiche e sociali del regime di allora ne facevano parte. L'agricoltura rappresentava il mezzo di sostentamento principale, si coltivavano mais, riso, patate, canna da zucchero, banane, frutti tropicali e cotone. I quilombolas (gli abitanti dei Quilombos) erano anche abili cacciatori ed esperti pescatori: la caccia era praticata con gli archi e le frecce, utilizzando i cani, per la pesca, invece, si usava l'antico metodo degli indios: si paralizzava il pesce con il veleno estratto dal succo di una particolare radice. Esistevano anche alcune attività artigianali, come la tessitura del cotone, praticata in prevalenza dalle donne, e la pratica di una metallurgica rudimentale, la fabbricazione di utensili e armi, svolta perlopiù dagli uomini. Infine, un'importante attività era rappresentata dalla fermentazione di alcune bevande di frutti. All'interno del Quilombo vigeva un'assoluta uguaglianza e parità di diritti e di doveri, ognuno svolgeva l'attività per la quale era maggiormente dotato ed i prodotti venivano equamente suddivisi tra tutte le famiglie. Il più importante Quilombo della storia brasiliana fu Palmares, che sorse a nord del rio Sao Francisco, dove oggi si trova l'attuale stato di Alagoas, e che lottò per 67 anni fino alla sua totale distruzione. Nella memoria dei capoeiristi Palmares rappresenta l'esempio più importante nella storia dei Quilombos brasiliani: fondato da 20-30 persone alla fine del XVI secolo, si estese rapidamente fino a diventare una specie di stato, una sorta di repubblica, una rete di città suddivise in varie province, legate tra loro e dipendenti dalla capitale, chiamata Macaco. Quest'ultima, situata nella Serra da Barriga, si presume che constasse da sola di oltre 1.500 abitazioni per un totale di 8-10 mila persone. Palmares aveva un sistema di leggi che regolava la vita delle persone, alcune molto rigide (furti, adulteri, diserzioni e omicidi erano puniti con la pena capitale). Tra i palmerinos esisteva uguaglianza civile e politica e l'Autorità era riconosciuta da tutti. Ogni provincia aveva un capo, scelto per meriti di forza, intelligenza e destrezza, le cui iniziative erano rigidamente controllate da un Consiglio e riguardavano gli atti di ordinaria amministrazione, mentre le decisioni più importanti venivano adottate da un'assemblea composta da tutti gli abitanti adulti. Aveva, inoltre, sia una lingua propria, che conteneva forme portoghesi, forme africane differenti e idiomi indigeni, sia una cultura propria, risultato dell'incontro tra culture con tradizioni diverse. Insomma, possiamo considerare Palmares come il primo e l'unico stato libero e democratico di neri in territorio americano.
Sono numerose le storie di grandi eroi dei Quilombos, tra i quali il più importante è Zumbi dos Palmares, considerato ancora oggi il primo grande maestro di Capoeira e coraggioso difensore degli ideali di libertà del popolo negro. La storia racconta che Zumbi nacque nel 1655 all'interno del Quilombo di Palmares e imparò la Capoeira sin da bambino da grandi maestri. Ancora adolescente fu catturato da una spedizione di portoghesi ed affidato alle cure di un "padre" che lo catechizzò e lo battezzò con il nome di Francisco. Imparò a leggere e a scrivere, venne rieducato, tentarono in tutti i modi di cancellare dalla sua memoria il ricordo del passato, ma senza successo: a quindici anni, nel 1670, Zumbi riuscì a scappare ed a ritornare a Palmares. Qui si dedicò all'arte della Capoeira, all'insegnamento del valore della libertà, sensibilizzò i suoi compagni al problema di liberare il Brasile ed i loro fratelli negri dalla schiavitù. Zumbi organizzò la difesa di Palmares e guidò la resistenza contro le frequenti incursioni dei bianchi portoghesi, che si intensificarono proprio a partire dal 1670, quando il Governatore di Pernabuco, Domingos Jorge Velho, decise che Palmares doveva essere completamente distrutto perché stava diventando troppo pericoloso: il suo esempio, infatti, era ormai divenuto un mito e veniva seguito da molti schiavi, cosicché il numero dei Quilombos aumentava continuamente. Dopo oltre vent'anni di disperata resistenza, nel 1693 Palmares fu raso al suolo, nel corso degli attacchi finali, durati ininterrottamente 22 giorni, migliaia di persone furono catturate e uccise, Zumbi e i suoi uomini lottarono disperatamente e furono in molti a morire per quel ideale di libertà per cui avevano vissuto. Zumbi si salvò. Riuscì a fuggire nella foresta, un ambiente a lui congeniale ma impervio per i suoi inseguitori. Conosceva bene quella selva e non gli fu difficile far perdere le proprie tracce. Scelse un posto sicuro dove rifugiarsi con i pochi compagni rimastogli, ma poco tempo dopo venne scoperto, uno dei suoi compagni catturato dai portoghesi svelò il luogo del suo rifugio, questi gli tesero un'imboscata e lo uccisero. La sua testa venne esposta nella piazza centrale di Macaco il 20 novembre del 1695. Palmares e Zumbi furono esempi importanti per le rivolte successive che portarono all’abolizione della schiavitù nel 1888. Con l'abolizione della schiavitù, alcuni ex-schiavi ritornarono in Africa, ma la maggior parte di loro rimase in Brasile. I fazendeiros, però, non erano più interessati a loro come forza lavoro (motivo principale dell'abolizione), in quanto gli immigrati stranieri costavano meno. Questa massa di ex-schiavi si diresse dunque verso le grandi città; tuttavia non tutti riuscirono a trovare un lavoro e una casa (prima gli schiavi abitavano tutti insieme nella “senzala” che era un'abitazione costruita apposta all'interno della fazenda). Si istallarono così nelle vicinanze delle città creando le prime “bidonville”. Non sapendo come sopravvivere essi usavano la Capoeira in diverse maniere: alcuni facevano i primi spettacoli nei pressi dei porti per i turisti e i marinai che arrivavano e con le mance compravano quel po' che riuscivano per sfamarsi; altri si organizzarono in gang criminali rubando e assaltando i più ricchi; altri ancora venivano assoldati dai politici o dalle persone influenti come "guardie del corpo" e molte volte la loro conoscenza della Capoeira veniva usata dai loro padroni (sempre padroni erano!) anche a scopi politici, come per esempio nella lotta tra repubblicani e monarchici. La principale attività di questi capoeristi (nome di chi pratica la Capoeira) era disturbare la vita politica del Paese. Già nel 1890 anche molte persone ricche ed influenti che facevano parte dei più alti livelli della società erano diventati praticanti della Capoeira. Questo rappresentava una minaccia per il governo, per cui venne creata una speciale forza di polizia al fine di tenere la situazione sotto controllo. Venne introdotto un rigido codice penale nel cui capitolo B erano dedicati ben 10 articoli relativi alla pratica della Capoeira. In seguito una legge ancora più dura stabiliva che chiunque praticasse la Capoeira, ricco o povero, sarebbe stato espatriato. Per dare forza a questa legge il Presidente nominò Sampaio Ferraz a capo della polizia con l'incarico di essere inflessibile (cosa per la quale peraltro era famoso) nell'eliminazione di questa "piaga sociale". Sampaio è ritenuto il più duro capo della polizia in tutta la storia del Brasile (anche peggiore dei capi militari durante la dittatura). La cosa interessante riguardo Sampaio era che lui stesso era un abile capoerista, terrore di tutti coloro che lo conoscevano.La forza speciale di Sampaio era obbligata ad imparare la Capoeira per sfidare i nemici sul loro stesso terreno. Se non fosse stato per la grande resistenza dei capoeristi e per l'aiuto dato loro dalle persone influenti che li proteggevano, Sampaio sarebbe riuscito nel suo scopo. Un incidente causato proprio da Sampaio, però, condusse ad una crisi di governo; intatti egli arrivò ad arrestare un membro della famiglia di un ministro (il famoso Juca Reis). Dopo vari tentativi di riconciliazione due ministri dettero le dimissioni e Juca venne esiliato. Ci si aspettava che questo incidente provocasse un cambiamento. Infatti l'opposizione al governo creò la cosiddetta "milizia negra". al fine di destituire il presidente. Questa milizia era composta esclusivamente da capoeristi. La polizia era impotente contro di loro e proprio quando la situazione diventava sempre più tesa, il Brasile entrò in guerra con il Paraguay. La milizia negra venne inviata al fronte e quando tornò vittoriosa i suoi componenti diventarono eroi nazionali La Capoeira entrò in un'altra fase della sua storia.
La legge che proibiva la pratica della capoeira rimase in vigore fino al 1920; nel frattempo la si praticava come "danza folclorica". In luoghi nascosti, che molte volte coincidevano con i “terreiros” (luoghi dove veniva praticato il culto religioso dell'Umbanda e del Candomblé), i capoeristi facevano del loro meglio per mantenere viva la tradizione. In quegli anni era uso che il maestro che insegnava la Capoeira desse poi all'alunno uno o due soprannomi (a volte anche tre); la polizia conosceva i capoeristi con questi soprannomi e non con la loro vera identità, il che rendeva difficile l'arresto. Questa tradizione è rimasta anche oggi: quando una persona viene “battezzata” le viene dato anche un soprannome. Nel 1937, Mestre Bimba, uno dei più importanti maestri di Capoeira, ricevette un invito dal presidente per fare una dimostrazione nella capitale. Dopo il successo della presentazione tornò a casa, a Salvador, con il permesso del governo per l'apertura della prima scuola di Capoeira in Brasile. Era il primo passo verso uno sviluppo più aperto. Infatti nel corso degli anni successivi questa “danza marziale” diventò lo sport nazionale brasiliano, entrando ovunque anche nelle scuole, università, club e accademie militari. Oggi è praticata in tutto il mondo da migliaia di uomini, donne e bambini come attività educativa, culturale e sportiva.

COS’É LA CAPOEIRA
La Capoeira (circolo della vita) è una disciplina profonda, unica nel suo genere: si tratta infatti di una forma di autodifesa senza contatto espressa in forma di danza. Agli inizi si trattava di una violenta forma di combattimento, che ben presto venne proibita dai padroni degli schiavi, in quanto antieconomica (molte persone si ferivano o addirittura morivano) e pericolosa da un punto di vista sociale, in quanto dava un'identità di uomini a coloro che erano solo considerati oggetti, merce di scambio, forza lavoro. Ma la Capoeira non si fermò : nuovi gruppi di combattenti continuavano a formarsi e a praticare illegalmente questa tecnica. Col tempo venne aggiunta la musica (c'è la teoria che servisse a far credere ai padroni che incontri sanguinari fossero in realtà feste, o cerimonie), e la violenza venne sostituita da movimenti meno aggressivi. Oggi di quegli antichi combattimenti è rimasto il significato rituale: l'unico contatto che è permesso tra i due "combattenti" è quello degli occhi. La Capoeira non si combatte e non si danza: si gioca. Dopo aver formato un cerchio (la Roda) in cui tutti suonano e cantano, si dà inizio al confronto (chiamato "gioco") tra i primi due lottatori-danzatori. Lo scopo non è fare del male all'avversario o bloccarlo a terra. L'obiettivo è arrivargli vicino per fargli capire che, volendo, lo si potrebbe colpire, ma si lascia perdere. Inoltre, se si bloccasse subito l'avversario il gioco finirebbe subito e invece il movimento deve continuare.

IL PROGETTO
La Capoeira nasce dallo scontro di culture ed etnie diverse. Questa arte tradizionale e folclorica del Brasile ci insegna con la sua storia che uno "scontro" fra culture e popoli diversi può trasformarsi in un "incontro" e generare una nuova forma di cultura e un nuovo popolo. Come tante usanze o tradizioni straniere, è giunta in Italia, dove inevitabilmente ha trovato un largo consenso nel pubblico nostrano. Da qui la nascita di decine di scuole, che in pochi anni sono diventate più di cento, distribuite sull’intera Penisola, con una certa maggioranza nell’Italia centro-settentrionale: Treviso, Bergamo, Cremona, Reggio Emilia, Perugia, Bologna, Milano, Taormina, Viterbo e naturalmente Roma. Inoltre ci sono gruppi anche in Francia, Germania, Portogallo, Olanda, Belgio e Spagna, e oltreoceano in Messico e negli Stati Uniti. Tutti fanno parte, però, dell'organizzazione “Tao Te Chia”, che è stata fondata dal maestro Ruben Garcia.
Il punto di incontro di scuole, associazioni, centri sociali e palestre capoeiristiche è senza alcun dubbio Roma. L'insegnamento, la diffusione, la promozione e l'approfondimento di tale attività nella Capitale e nell’intero territorio laziale ha favorito l’incontro fra la cultura italiana e quella brasiliana; ha consentito di rimettere in contatto i cittadini brasiliani residenti in Italia con la loro cultura; ha permesso di far scoprire agli italo-brasiliani, nati e vissuti in Italia, la loro altra "metà culturale"; ma ha offerto anche uno spazio e un tempo per coltivare la propria passione a tutti coloro che hanno un forte interesse per tutto ciò che riguarda il Brasile. Poiché ormai Roma, come molte altre metropoli del mondo, è una realtà multi-culturale e multi-razziale questo incontro fra due culture viene ad espandersi sempre di più. Accade così che le attività delle varie associazioni creino un momento d'incontro oltre che fra italiani, brasiliani e italo-brasiliani, anche con altre culture: l'africana, la spagnola, l'argentina etc. Annualmente i gruppi di Capoeira organizzano un Incontro Internazionale di Capoeira, evento in grado di riunire gente proveniente da tutta l'Italia, dall'Europa e dal Brasile. Proprio la diffusione di questo “fenomeno” sul territorio laziale, e in particolare su Roma, è al centro del documentario intitolato Tudo è Capoeira, diretto da Francesco Del Grosso e Lorenzo Leone. Attraverso interviste a esponenti più o meno celebri di questa “danza marziale” (insegnanti, esperti, allievi, giornalisti o semplici appassionati), il documentario mostra e cerca di spiegare il perché di tale diffusione.
Al documentario prodotto dai due registi, con il patrocinio del Dipartimento Comunicazione Letteraria e Spettacolo dell’Università degli Studi di Roma Tre e dell’associazione Cinemavvenire, il documentario ha visto la partecipazione di tutti i gruppi romani di capoeira (Carcarà, Soluna, Topazio e Lembrança Negra), ai quali vanno ad aggiungersi alcune testimonianze di maestri dei gruppi italiani di Viterbo, Reggio Emilia e Rimini, oltre a quella di rappresentanti della scuola tedesca di Colonia e ad un’esclusiva intervista al grande Mestre Pinatti direttamente dal Brasile. Importantissima è anche l’intervista rilasciata da un famoso esperto di arti marziali, Leandro Spadari, giornalista della rivista “Samurai”.
Alle immagini filmate dalla troupe con il supporto di più camere digitali (Sony PD 150 e Canon XL 1), vanno ad aggiungersi materiali di repertorio concessi e prelevati da archivi storici, da teche di emittenti televisive e radiofoniche, da fototeche o direttamente forniti dalle associazioni romane e non coinvolte nel progetto, ma anche sequenze estrapolate da film o documentari più o meno celebri.
Questa danza-lotta, oltre a nascere da un incontro tra culture ed etnie diverse, ha origine da un incontro fra più linguaggi espressivi. Insomma, arte marziale sì, ma anche espressione corporea e quindi danza, a ritmo di musica e accompagnata da canti. Unione di discipline diverse in un'unica arte, che nel “gioco” della Capoeira vede lo svilupparsi di qualità fisiche come agilità, destrezza, coordinazione, flessibilità ecc.; il capoeirista cresce in creatività, dando primaria importanza al rispetto e all'amicizia, giocando dentro le regole per far crescere le capacità e non solo testarle. Porta così allo svilupparsi in modo completo dei tre canali di apprendimento dell'essere umano: psico-motorio, affettivo-sociale e cognitivo. A tal proposito, l’obiettivo della camera è rivolto anche verso il gesto capoeiristico, così elegante nelle movenze, ma allo stesso tempo potenzialmente violento e persino letale. Inoltre, la Capoeira è anche ricerca interiore. Infatti non è solo un esercizio per mantenersi in forma, ma può anche essere praticata come terapia per rompere blocchi psicologici: una specie di “medicina” per la mente. Dunque Tudo è Capoeira può rivelarsi importante proprio per questa multi-lettura, dato che concentra l’attenzione su diversi livelli e chiavi di interpretazione.

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